A cura di Silvia (05/2017)
Voto:
Per viaggiare non servono aerei, macchine e navi. E nemmeno
film o libri se si vuole farlo con la fantasia. Basta un cervello. Ma se questo cervello ti porta in
luoghi da cui non riesci a scappare... cosa può succedere?
Neal Shusterman ce lo racconta attraverso la voce di Caden, un
quindicenne con le
scarpe troppo strette e un cuore di due taglie più piccole,
afflitto da un'ansia sociale che lo porta ad avere incubi e vedere
mostri. Il suo cervello è costantemente su di giri, capace solo di
deformare la realtà, di scorgere complotti e macchinazioni. Di notte
poi, quando le tenebre lo avvolgono, quelle paure che reclamano di
essere ascoltate lo spingono a bordo di un vecchio galeone senza nome
eroso dal tempo dove lui non fa parte della ciurma, è solo uno dei
tanti ragazzi prigionieri vessati dal temibile capitano e dal suo
pappagallo. Navigano verso la Fossa delle Marianne, il challenger deep, il
luogo senza ritorno.
L'intero romanzo alterna le visioni di Caden al suo quotidiano, ma
nonostante i dialoghi coi genitori, la presenza della sorella, i
pomeriggi trascorsi con gli amici, il suo sembra un lunghissimo e delirante
monologo. Shusterman ti porta dritto dritto nella sua
testa, ti fa sentire unicamente la sua voce, e poco alla volta dalla
prima persona si passa alla seconda, perché Caden giorno dopo giorno si
sta decostruendo; l'io narrante scompare, non è più affidabile, non è
in grado di raccontare nulla di concreto.
Ne segue il ricovero in un reparto di neuropsichiatria infantile, tra
camici color pastello e ragazzi che credono di parlare con Shakespeare
e passano le ore a consultare complicatissime mappe geografiche. Qui
l'àncora di salvezza. Se sulla nave trova conforto tra le braccia della
ragazza della polena, fatta di ebano e calore, nell'ospedale c'è Calli
persa a fissare un orizzonte immaginario dai vetri delle finestre.
Ma intanto il vecchio Galeone sta continuando la traversata per
arrivare al challenger deep, la più profonda depressione oceanica
conosciuta al mondo. E Caden? Riuscirà a salvarsi? Riusciranno le
parole del padre e le lacrime della madre a riportarlo sulla terra
ferma?
Una narrazione magnifica e toccante per un romanzo unico nel
suo genere. Lo ammetto, mi è mancato lo Shusterman di Unwind,
ma solo perché desidero ardentemente - da anni - leggere un vero
distopico, ma la sua prosa, che ho trovato ancora più ricca e
visionaria, mi è piaciuta tantissimo. Per due giorni interi sono stata
prigioniera di Caden, del suo irrefrenabile bisogno di disegnare, di
riempire ogni spazio vuoto, di camminare in continuazione per mettere a
tacere tutte quelle voci che gli affollano la mente. La sua voce mi ha
chiuso lo stomaco. La sua storia, un miscuglio di situazioni più
surreali che altro, mi ha fatto riflettere.
Shusterman si discosta totalmente dai soliti romanzi young adult,
quindi non aspettatevi una trama canonica, tanto per dirne una i
personaggi secondari sono praticamente inesistenti, c'è solo Caden. Le
sue paure, il suo dolore, le sue ansie. A fine romanzo capiamo il
perché questo libro esiste. Caden Bosh presta il volto e la voce al
figlio dell'autore, Brendan, un
ragazzo affetto da schizofrenia che tra
tempeste e mostri marini è riuscito a trovare un porto sicuro in cui
rifugiarsi. Sono suoi i disegni sparsi tra le pagine del
romanzo, una chiara testimonianza di alienazione e angoscia, lo
specchio deforme di una comunicazione astratta e imperscrutabile.
Nonostante mi sia piaciuto moltissimo soprattutto a livello stilistico Il Viaggio di Caden pecca in alcune parti di una certa ridondanza e ripetitività, per questo consiglio di prendervi il vostro tempo e leggerlo tutto d'un fiato. Sarà un viaggio intenso, Shusterman vi offre un biglietto di sola andata, spetta a voi quello del ritorno.