A cura di Silvia (04/2013)
Voto:
Non male questo romanzo di Melvin Burgess anche se
fondamentalmente resta intrappolato nel target dei libri per ragazzi,
perchè là dove si poteva osare con scelte più coraggiose si è
preferito diversamente. Me ne rendo conto, non dev'essere facile
parlare di
bullismo quando gli stessi protagonisti sono dei bulli e il punto di
vista è proprio il
loro. Richiede sicuramente una certa dose di tatto; non si può entrare
nel loro mondo e sbattergli in faccia dove, come, quando e perché
hanno sbagliato, al contrario bisogna prenderli per mano,
guardarli negli
occhi, ascoltarli. Mica semplice quando una quindicenne perde la
bussola e improvvisamente ti prende a pugni e calci, quando hai a che
fare con un ragazzo che nei
confronti della scuola mostra solo un totale menefreghismo al
limite
dello sfottò, o quando tuo figlio è uno sfigato
cronico per definizione e tu come madre fai anche più schifo di
lui.
Questi sono Billie, Chris e Rob. La pazza, il nullafacente, il
ciccione. Tre
adolescenti che si sono persi, perché qualcuno ha
permesso che succedesse. Il loro è un grido d'aiuto spesso
muto, trattenuto, soffocato.
Billie è stata la voce che ho preferito. Una corazza di rabbia a
protezione di un corpo di cristallo. Forte, indistruttibile,
aggressiva, eppure quando qualcuno offende quella madre che l'ha
abbandonata per annegare nell'alcool lei si distrugge. Per una
donna
che l'ha fatta crescere troppo in fretta, costringendola a portare
avanti una famiglia mentre lei annegava nei fumi dell'alcool, lei va in
mille pezzi. Billie è la più difficile dei tre ragazzi. La prigione,
il suicidio, la droga, la prostituzione; sono tutti lì che l'aspettano.
Sono così tante le mani che cerano di afferrarla, così tante che lei
non riesce a capire quali siano quelle giuste.
Chris è il tipico ragazzo incompreso, quello che ti può ferire con le parole o con l'iddifferenza. Quello che non da soddisfazioni ai genitori e che se un giorno difende un debole, il giorno dopo lo schernisce.
Rob invece di solito è la vittima. Facile scagliarsi contro la palla di lardo, il grassone, il molliccio, lo sfigato per definizione. Robbie viene deriso e picchiato e poi se ne torna a casa con la coda tra le gambe, dove può mettersi la musica nelle orecchie a massimo volume e chiudere il mondo fuori dalla sua stanza. Un mondo fatto di una madre che non sceglie per il suo bene, un patrigno che lo disprezza e un fratellastro da proteggere. Un mondo da cui si può difendere solo con la sua fantastica maglietta capace di fargli bruciare la pelle quando la indossa: uno scheletro a cavallo di una moto e le scritte "Strafatto di crack. Rotto in culo. Satanista. Figlio di puttana". Parole vietate in un'istituzione come la scuola. Parole che gli costeranno care.
Billie, Chris e Rob sono tanto diversi quanto simili. Dipendono dal male, ma cercano il bene; sembrano coraggiosi, ma hanno paura di tutto. Il limite di questo libro l'ho trovato proprio qui. In pensieri troppo standardizzati, ragionamenti spesso uguali, in un linguaggio comune che non li differenzia. Tutti e tre sono pieni di emozioni di cui non sanno che farsene e tanto meno gestire, perchè sono le pulsioni a comandarli. Ma se per ogni capitolo non fosse specificato di chi è la voce narrante, si capirebbe lo stesso? Credo di no. Perchè per quanto il linguaggio degli adolescenti sia universale, costellato di parolacce, impulsività e rabbia deve avere delle sfumature. Forse per questo non mi sono affezionata più di tanto a nessuno e non mi sono commossa quando avrei dovuto.
Bisognava osare di più.
Il finale amaro di Un Chiodo Fisso è più
coraggioso, in Kill All Enemies c'è più disincato,
si accarezza la speranza e ci si permette anche di essere ottimisti.
La
vita vera però ci insegna che non è tutto così semplice come tra le
pagine di un libro, ma forse ci pensano già tv, radio
e giornali a ricordarcelo. E
allora va bene così. Se
in un mondo di cose sbagliate, una può andare
per il verso giusto, perché non credere che sia possibile?